Un siciliano e la sua doppia vita – Andrea Camilleri

Un siciliano e la sua doppia vita

Quando di un uomo si dice che ha una “doppia vita”, s’intende, generalmente, questo: che la prima delle due vite appare assolutamente rispettabile, mentre la seconda, di sicuro, rispettabile non lo è. La casistica, al riguardo, è infinita: tanto per fare un esempio consacrato dalla letteratura e dal cinema, si pensi al dottor Jekyll e a Mister Hyde. Qualcuno potrà sostenere che l’esempio è sbagliato, perché nel caso che ho citato non si trattava di una doppia vita, ma di uno sdoppiamento della personalità.

Ma allora basterà rifarsi alla cronaca quotidiana: leggiamo purtroppo spesso di ottimi, stimati padri di famiglia che abusano delle figlie minorenni; di rappresentanti della legge che nottetempo fanno i rapinatori assassini (la storia dei fratelli Salvi con la loro Uno bianca è esemplare); di magistrati apparentemente inflessibili, rigorosi, ma in realtà profondamente corrotti (e qui la prudenza mi invita a non portare esempi). Comunque sia, la conclusione è sempre la stessa: la prima vita ha un valore di facciata e si svolge perciò alla luce del giorno, la seconda – invece – è una vita notturna, si svolge nel chiuso più chiuso di un segreto.

Ma io qui voglio scrivere di altri casi di doppia vita nei quali la seconda non ha nulla di vergognoso, losco, delittuoso. Anzi.

Carmina non dant panem” dicevano i Romani, e avevano perfettamente ragione. Non solo la poesia non dà pane, ma nemmeno la prosa o la saggistica. Nella nostra bella Europa, non si può campare scrivendo, per dedicarsi alla scrittura l’autore europeo deve assolutamente fare una “prima” vita. Anche stavolta qualcuno potrà ribattere che sto sbagliando: di doppio lavoro si tratta, non di doppia vita.

Eh,no. “La vita o la si scrive o la si vive” affermò una volta Pirandello. E quando sei messo nella condizione di volerla scrivere, contemporaneamente all’obbligo di viverla, la vita? Non ti resta che fare come Franz Kafka, impeccabile impiegato di banca di giorno e scrittore di notte. E quindi, siccome Kafka è passato alla storia come uno dei più grandi scrittori del Novecento e non come uno dei più grandi bancari, ne consegue che la sua vera vita era la seconda, quella esercitata di nascosto, e non la prima.

Su un caso di doppia vita che c’interessa da vicino vorrei soffermarmi oggi, perché si tratta di un siciliano certamente poco conosciuto dai suoi conterranei. Mi riferisco ad Antonio Pizzuto, nato a Palermo nel 1893. Pur provenendo da una famiglia che molti contatti aveva con i classici e con la poesia, Pizzuto si laurea in legge, vince un concorso, diventa poliziotto, fa una bella carriera, la conclude come questore. Non solo, viene nominato presidente della Commissione internazionale di Polizia criminale (credo sia l’Interpol…). Ma nei ritagli di tempo, o di notte, questo “sbirro” d’alto livello traduce Cicerone, Platone e Kant. Non è finita: andato in pensione, a 66 anni pubblica un romanzo, Signorina Rosina. I più importanti critici (non solo italiani) salutano il libro come un evento: si tratta certamente del romanzo più innovativo degli ultimi anni. Coi suoi scritti ulteriori, Pizzuto arriverà all’invenzione di una lingua nuova che segue regole musicali, non sintattiche. Non a caso il suo quinto libro s’intitola Sinfonia.

Confrontiamo le date. Nel 1958 il vecchio principe siciliano Tomasi di Lampedusa viene rivelato al mondo come l’autore di un libro nato “classico”; l’anno appresso il vecchio ex questore siciliano – Pizzuto, appunto – viene definito “il primo romanziere d’avanguardia nella letteratura italiana del Novecento”. Due siciliani, due nomi della nostra storia letteraria.

Andrea Camilleri, Racconti quotidiani. Milano: Mondadori, 2007, pp 53-56

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