
Ho avuto e ho qualche nemico, dispiace molto ma è così. Come nasca un’inimicizia non lo so. Ogni generalizzazione mi sembra arbitraria, faccio fatica anche a dare credito alla tesi che i nemici siano indispensabili per definirci e rafforzare la nostra identità. Io non ho mai sentito questo bisogno, le inimicizie non mi hanno dato altro che ansie, ne avrei fatto volentieri a meno. D’altra parte non c’è dubbio che la storia del genere umano sia storia soprattutto di inimicizie e non si può liquidare il problema con un’alzata di spalle. Diciamo allora che non mi appassionano le inimicizie immediatamente riducibili a una ragione determinata: il possesso di una sorgente, il possesso di pozzi di petrolio, il possesso di una regione, etc. Esse sboccano tradizionalmente nell’assassinio, nella guerra, nel massacro, e mi fanno semplicemente orrore. Non parliamo poi delle piccole inimicizie che nascono di continuo nella quotidianità, quelle dovute a uno sgarbo, a una parola triviale, a una maldicenza, a una promessa non mantenuta, a un inganno. Sono comportamenti occasionali, a volte ce ne pentiamo, a volte chiediamo scusa, spesso inutilmente. Ne ho paura, temo di essere trascinata in piccoli conflitti sempre prossimi a grandi manifestazioni di ferocia. Ma soprattutto mi sembra insopportabile occuparmi di sciocchezze e vivere agitata per futili motivi. In realtà, tra tutte le possibili inimnicizie, mi interessano davvero solo quelle senza ragione, quelle che si possono riassumere così: “Che t’ha fatto?”, “Non lo so, mi dà ai nervi anche solo vederla”. Qui mi pare che valga la pena scavare, la vecchia formula dell’antipatia personale mi sembra insufficiente. Cosa accade ai nostri corpi quando urtiamo I’uno contro l’altro? Perché certe persone ci sembrano così diverse da noi, che non riusciamo ad accettarle, a riconoscerne l’umanità? Basterebbe un po’ di buona volontà e non ci sarebbe più motivo di inimicizia? Conosco storie di rifiuti netti del tutto immotivati, che proprio per questo mi sembrano letterariamente avvincenti. In particolare mi incuriosiscono quei rapporti – tra uomini, tra donne, tra uomini e donne – in cui tutto comincia con il reciproco interesse e il reciproco rispetto. Si sta bene insieme, c’è curiosità, buona disposizione. Sta nascendo se non un’amicizia, una gradevole relazione. Poi cominciano imbarazzi, un po’ di fastidio, all’improvviso un fumo brucia gli occhi e la gola. Qualcosa non funziona più, ma non è facilmente individuabile. Finché un giorno uno dice: basta, preferisco non frequentarti più. E il rapporto sul serio si interrompe. Una vicinanza benevola si trasforma in ostilità a distanza, in un farsi reciprocamente male ogni volta che si può, senza una ragione per cui si trovino le parole. In questo tipo di vicende sospetto che ci sia qualcosa che, se raccontato fino in fondo, ci farebbe fare qualche passo avanti. Forse un nemico è semplicemente qualcuno che si è sottratto per una sorta di sfinimento emotivo alla fatica, alla comnplessità, al piacere, a tutte le ambiguità dell’amicizia.
Elena Ferrante, L’invenzione occasionale, Roma: Edizioni e/o, 2019, pag. 79-80