
È una domenica di Lisbona, e io ho nostalgia di Drummond. È una di quelle domeniche che il mio amico Alexandre O’Neil immortalò in una poesia, quando la dolce saudade che i portoghesi si portano dentro, sul volto degli abitanti di Lisbona (e anche sul mio) si trasforma in tedio, mutria. Io ho nostralgia di Drummond.
Fa un caldo torrido, la città è quasi deserta, passa una turista in pantaloncini dalle lunghe e nivee gambe; stasera gli amici mi hanno invitato sul Tago a mangiare un parago “che così non l’hai mai assaggiato in vita tua”. Io ho nostalgia di Drummond.
Anche senza il sonoro, le immagini del televisore sono comprensibili. È una vecchia storia; chi assassinava ieri è assassinato oggi in attesa che i suoi figli abbiano buoni motivi per assassinare domani. Speriamo che più tardi si alzi la brezza promessa dal bollettino meteorologico. Io ho nostalgia di Drummond.
Il campionato di calcio è terminato. C’è chi ha vinto e c’è chi ha perso: il club Tal dei Tali festeggia la vittoria con mortaretti e promette trionfi futuri. Una stimata cattedratica francese nelle sue passeggiate nel bosco narrativo rivela a noi comuni mortali che la scrittura si misura solo con se stessa. Io ho nostalgia di Drummond.
In una situazione come questa, la pulizia etnica è una questione secondaria, afferma sul “Corriere della Sera” un commentatore politico, e la tortura è una pratica necessaria “in caso di necessità” [sic]. Il missile che ha raggiunto l’ospedale si è deviato da solo, dichiara uno stratega americano con il rispetto che merita l’autodeterminazione dei missili. Ho comprato troppi giornali e ho nostalgia di Drummond.
I critici letterari non hanno dubbi: se al lipogramma corrisponde il liposema, ne deriva di conseguenza che quel certo testo è contemporaneamente lipogrammatico e liposemico. Forse sarebbe opportuno studiare la teoria degli equivoci, ma pare che il tempo stringa. Io ho nostalgia di Drummond.
Di Drummond che ha scritto: “Amore, / poiché è parola essenziale, / cominci questa poesia e tutta l’avvolga. / Amore guidi il mio verso e, nel guidarlo, / unisca anima e sensi, / membro e vulva. / Chi oserà dire che esso è solo anima? / Chi non sente l’anima spandersi nel corpo / fino a sboccare in un puro grido d’orgasmo, / in un istante d’infinito?”.
Di Drummond che ha scritto: “La Bomba / è un fiore di panico che terrorizza i floricultori / (…) / La Bomba / rutta impostura e prosopopea politica / La Bomba avvelena i bambini ancora prima che nascano / (…) / La Bomba / ha chiesto al Diavolo che la battezzasse e a Dio che convalidasse il battesimo”.
Di Drummond che ha scritto: “Non sarò il poeta di un mondo caduco. / E non canterò neppure un mondo futuro. / Sto attaccato alla vita / e guardo i miei compagni”.
Di Drummond che ha scritto: “Dalle correlazioni fra topos e macrotopos / dagli elementi soprasegmentali / libera nos, Domine. / Dal vocoide, / dal vocoide nasale o senza occlusione consonantica / dal vocoide basso e dal semivocoide omorganico / libera nos, Domine. / Dal programma epistemologico nell’opera / dal taglio epistemologico e dal taglio dialogico / dal sostrato acustico del culminatore / dal sistemi genitivamente affini / libera nos, Domine”.
Di Drummond che ha scritto: “Stéphane Mallarmé ha esaurito il calice dell’Inconoscibile. / A noialtri resta solo il quotidiano”.
Di Drummond che ha scritto: “Quando nacqui / un angelo storto / di quelli che vivono nell’ombra / mi disse: vai, Carlos, a essere gauche nella vita!”.
Anni fa, quando ti conobbi, caro Carlos Drummond de Andrade, era una limpida sera di Copacabana. E tu eri un vecchio poeta che mi parlava della cometa Halley ammirata da bambino nel remoto altopiano di Minas Gerais. Ed eri così esile che temetti che il vento dell’Atlantico ti portasse via. Ora che sono passati degli anni dalla tua morte, devi essere più leggero di una foglia. Perché non approfitti della brezza che la televisione ha promesso per stasera e non vieni a fare due chiacchiere con me in questa domenica di Lisbona?
A.Tabucchi, Viaggi e altri viaggi. Milano: Feltrinelli, 2010, p.198-200