Una notte di marzo del 1890, in un bordello di Parigi, dopo aver dipinto il manifesto per una ballerina che amava non corrisposto, Henri de Toulouse-Lautrec, pittore e uomo infelice, fece un sogno. Sognò che era nelle campagne della sua Albi, e che era d’estate. Lui si trovava sotto un ciliegio carico di ciliegie e avrebbe voluto coglierne qualcuna, ma le sue gambe corte e deformi non gli permettevano di raggiungere il primo ramo carico di frutti. Allora si alzò sulla punta dei piedi e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, le sue gambe cominciarono ad allungarsi fino a che non raggiunsero una lunghezza normale. Dopo che ebbe colto le ciliegie le sue gambe cominciarono di nuovo ad accorciarsi e Henri de Toulouse-Lautrec si ritrovò alla sua altezza di nanerottolo.
Toh, esclamò, dunque posso crescere a mio piacimento. E si sentì felice. Cominciò ad attraversare un campo di grano. Le spighe lo sovrastavano e la sua testa apriva un solco fra le messi. Gli pareva di essere in una strana foresta dove andava avanti alla cieca. In fondo al campo c’era un ruscello. Henri de Toulouse-Lautrec vi si specchiò e vide un brutto nano dalle gambe deformi vestito con dei pantaloni a quadri e con un cappello in testa. Allora si alzò sulla punta dei piedi e le sue gambe si allungarono gentilmente, egli diventò un uomo normale e l’acqua gli restituì l’immagine di un bel giovane elegante. Henri de Toulouse-Lautrec si accorciò di nuovo, si spogliò e si immerse nel ruscello per rinfrescarsi. Quando ebbe fatto il bagno si asciugò al sole, si rivestì e si mise in cammino. Stava calando la sera, e in fondo alla pianura vide una corona di luci. Vi si diresse caracollando sulle sue gambette corte e quando vi arrivò si accorse di essere a Parigi. Era l’edificio del Moulin Rouge, con le pale del mulino illuminate che giravano sul tetto. Una grande folla premeva all’ingresso, e vicino alla biglietteria un grande manifesto dai colori sgargianti annunciava lo spettacolo della serata, un can can. Il manifesto riproduceva una ballerina che tenendo sollevate le gonne danzava sul proscenio, proprio di fronte alle lampade a gas. Henri de Toulouse-Lautrec si compiacque, perché quel manifesto lo aveva dipinto lui. Poi evitò di mescolarsi alla folla e entrò dall’entrata secondaria, percorse un piccolo budello male illuminato e arrivò fra le quinte. Lo spettacolo era appena cominciato. La musica era fragorosa e Jane Avril, sul palco, ballava come indiavolata. Henri de Toulouse-Latrec sentì un feroce desiderio di entrare sul palco anche lui e di prendere per mano Jane Avril per ballare con lei. Si alzò sulla punta dei piedi e le sue gambe si allungarono subito. Allora si buttò con foga nella danza, il suo cappello a cilindro rotolò da una parte e lui si lasciò prendere nel vortice del can-can. Jane Avril non sembrava affatto meravigliata che lui fosse diventato di statura normale, ballava e cantava e lo abbracciava, e era felice. Allora il sipario calò, il palco sparì e Henri de Toulouse-Lautrec si ritrovò con la sua Jane Avril nelle campagne di Albi. Ora era di nuovo il meriggio e le cicale frinivano come impazzite. Jane Avril, esausta dal caldo e dalla danza, si lasciò cadere sotto una quercia e si tirò su le gonne fino al ginocchio. Poi gli tese le braccia e Henri de Toulouse-Latrec vi si lasciò cadere con voluttà. Jane Avril lo strinse al seno e lo cullò come si culla un bambino. A me piacevi anche con le gambe corte, gli sussurò in un orecchio, ma ora che le tue gambe sono cresciute mi piaci ancora di più. Henri de Toulouse-Lautrec sorrise e l’abbracciò a sua volta, e stringendo il cuscino si girò dall’altra parte e continuò a sognare.
A. Tabucchi, Sogni di sogni. Palermo: Sellerio, 1992.