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Nella notte del 3 marzo 1991, tornato da una serata di plenilunio trascorsa passeggiando per i vicoli di Siena, Antonio Tabucchi, esploratore e scrittore, fece un sogno.
Sognò che si trovava disteso sul rossi mattoni di refrattario della Piazza del Campo; era notte e i raggi della luna illuminavano i palazzi rendendoli quasi di gesso. Guardò meglio e si accorge che in realtà gli edifici intorno a lui si stavano sgretolando e, sotto l’azione della lieve brezza dell’ultimo inverno, gli fioccavano attorno ricoprendo tutto di una candida coltre. Sentì solo un leggero fremito, appena un brivido di freddo sulla schiena, quando, leggero come una piuma, cominciò a sollevarsi da terra. Levitava come se dei leggerissimi e invisibili fili di seta lo trasportassero verso l’alto. Man mano che saliva, si sentiva sempre più incorporeo, quasi si stesse trasformando in fumo, o in quella materia impalpabile di cui sono fatti i sogni.
Giunto più o meno all’altezza della Torre del Mangia, volle guardare giù e, girandosi con un lieve gesto, quasi un astronauta nello spazio, potè ammirare il magnifico spettacolo dei tetti rossi di Siena che incorniciavano il candore della piazza sotto di lui. Era come una nuvola bianca, un lenzuolo bianco immenso sul quale tutti gli scrittori potevano scrivere.
Le dita gli formicolavano. Le guardò e vide che avevano le ultime falangi quasi annerite. Il freddo, pensò. Ma osservandole meglio percepì che le mani si stavano allungando e tutte le sue dieci dita stavano assumendo una forma rigida, cilindrica con le punte sempre più nere… Si sarebbe potuto dire che stavano diventando… erano già diventate… delle matite. Belle matite perfettamente temperate che lui, anche se con una certa difficoltà, poteva muovere e controllare.
Distese l’indice della mano destra in direzione della piazza e, con un rapido ed elegante gesto della mano, tracciò una “s”. Sì, poteva scrivere sulla piazza e senza dover toccare il suolo con le dita; bastava solo il gesto. Rimase meravigliato, ma, provando di nuovo, il suo dito-matita non scrisse più. Lo scrutò attentamente e notò che si era spuntato, o meglio che vi stava spuntando qualcosa che non riusciva a definire, gli sembrava un verme, di quelli che lasciano una piccola parte del corpo appoggiata sul terreno e ruotano vorticosamente in alto l’altra estremità, come se cercassero un appiglio per sollevarsi dal suolo. Ma, portando il dito-matita più vicino ai suoi occhi, si rese conto che si trattava di una piantina che cresceva rapidissima, e, assieme a lei, ne crescevano di uguali su tutte le altre nove dita-matite. Crescevano tutte ad altissima velocità, come in quei filmati le cui riprese sono accelerate di proposito.
Alla fine, sulla sommità di ciascuna piantina, sbocciarono due fiori bianchi. Ognuno di questi emanava un profumo intensissimo e al tempo stesso originale. Tabucchi raccolse tutte le dita fiorite sotto il suo naso e aspirò profondamente. Le fragranze erano così forti che la sua mente si inebriò e cominciò ad avere visioni.
Guardando nel primo fiore vide un uomo che correva in un corridoio interminabile, cercando di fuggire e di ritrovare la sua memoria.
Nel secondo vide una farfalla che cantava odi dolcissime.
Nel terzo c’era un mago che camminava accanto ad un asino tutto d’oro.
Stava per guardare nel quarto fiore, ma sentì una calda carezza sui suoi capelli, come se il primo raggio di sole soavemente si insinuasse nella sua mente.
Aprì gli occhi sul mondo reale proprio mentre sua figlia Teresa, tenendogli una mano leggermente posata sulla testa, gli mostrava un bel quaderno nuovo che aveva appena comprato per lui.
M. Lacidogna – São Paulo, 5 marzo 1997.